Si affaccia con il suo bel prospetto gotico proprio in "curva de canal", immediatamente a fianco di Palazzo Contarini dalle Figure. Si sviluppa su di un piano terreno e due piani nobili, molto ben conservato, con il fronte tutto in mattoni, scandito dalle molte aperture tardogotiche (1470-80) impreziosite dai soliti stilemi: fioroni apicali, archi trilobati, cornici dentellate, elaborati capitelli con foglie d’acanto in doppia fila. Bella è soprattutto la quadrifora del primo piano con il balcone continuo in aggetto, sostenuto da mensole molto elaborate, agli angoli della cui balaustra (così come agli angoli delle balaustre dei balconcini delle due monofore più esterne) insistono due piccole figure zoomorfe rappresentanti leoni accosciati. Contribuiscono al decoro esterno gli spigoli a dente di sega in pietra d’Istria, il marcapiano del primo piano, i due piccoli stemmi Da Lezze della seconda metà del XV secolo posti tra le coppie di monofore del piano nobile. Notevole è anche la riva d’acqua, realizzata, però, in forme tardorinascimentali. Sopra la linea del cornicione, irriverente a tanto antico fascino, fa bella mostra un abbaino, tanto vistoso quanto recente. Sulla parete esterna posteriore, che guarda alla corte privata, sono visibili alcune antichissime patere, databili ai secoli XII - XIII, raffiguranti coppie di trampolieri e di galli che si affrontano.
La famiglia Nani, compresa nella Serrata del Maggior Consiglio del 1297, si era trasferita da Torcello a Venezia nel XII secolo e qui successivamente si divise in tre rami, tutti illustri, il principale dei quali si estinse alla fine del Settecento. Un Francesco, provveditore generale in Dalmazia (1194) fu uno degli elettori del doge Enrico Dandolo (1192-1205). Giovan Battista (1616-1678), già ambasciatore di Francia e amico personale del cardinal-ministro Mazarino, diede il suo nome a quella linea Nani che delimitò i confini fra i territori di Venezia e quelli occupati dai turchi Osmanli od Ottomani dopo la pace di Candia (1671). Nel Trecento, un giovane, Pietro, che aveva rubato un gioiello di valore dalla scollatura di una gentildonna di casa Falier - certo per bravata perché i Nani furono sempre ricchi - fu condannato al taglio della mano e ad essere appeso alla forca. Nell’800 Agostino ereditò il nome illustre dei Mocenigo, che aggiunse al proprio.