Palazzo Giustinian
Furono i loro discendenti che, intorno al 1452, fecero costruire questo grande palazzo gotico, in realtà costruito su due edifici distinti, noti anche come palazzo "Giustinian dalle Zogie" (gioie, gioielli) quello di sinistra, e "Giustinian dei Vescovi", dal nome del ramo di quella famiglia che vi abitava, quello di destra. Già allora erano destinati ai due rami della famiglia, e solo dopo un certo tempo furono uniti ed armonizzati tramite la parte centrale della facciata. La loro unione sul prospetto del Canal Grande è infatti un grande effetto scenografico, mascherato dal portone centrale che nasconde la calle retrostante che li divide. Furono costruiti forse con l'intervento della bottega dei Bon perché, ricorda la Porta della Carta, l'alta qualità delle grandi polifore in cui gli archi, intrecciandosi, formano dei motivi a quadrilobo. La parte centrale, che unisce i due palazzi gemelli, è caratterizzata da stupende monofore con trafori più larghi delle rimanenti, mentre gli spigoli sono accentuati da bugne di pietra d'Istria a dente di sega. Le piante si sviluppano attorno a saloni centrali a L che racchiudono corti interne, alle quali ne seguono posteriormente altre di maggiori dimensioni. L'edificio di destra conserva ancora la scala esterna, fatto abbastanza inusuale negli edifici veneziani, recante la scritta: Restaurum 1902. Helen D'Aubery.
Pur dando alla Serenissima degli insigni e valorosi servitori, la famiglia Giustinian non cercò mai onori particolari, tant'è vero che nel 1311 Stefano rifiutò di salire al dogado. Essa era pure una delle cinque famiglie cui era stato concesso il Cavalierato eredita-rio, ma purtroppo il particolare ramo che era stato così onorato, i conti di Carpasso, era caduto in tale stato di miseria che il popolino con bonaria arguzia sussurrava che essi non portassero mai la stola d'oro dei cavalieri, nel timore di perderla. Ben diversa era la posizione finanziaria degli altri rami. Orsato aveva una figlia naturale che amava e voleva accasare, ma la famiglia del patrizio prescelto nicchiava a causa della illegittimità di lei, che considerava una macchia al loro casato. La discussione si trascinava senza risultati quando Orsato, esasperato, andò a prendere il più bell'abito della figlia, vi versò sopra una bottiglia di olio, quindi coprì la macchia con un mucchio di monete d'oro chiedendo: «La vedete ancora?». E la figlia fu accettata. Questo stesso Orsato, che doveva essere famoso per il suo carattere, si trovava come ambasciatore alla corte di Napoli; il re, volendo metterlo in imbarazzo e umiliarlo, ordinò che nella sala in cui gli avrebbe dato udienza non vi fosse che una sedia, la propria. Entrando, Orsato capì subito che il re intendeva lasciarlo in piedi davanti a lui, e certo il magnifico veneziano dovette ridere fra sé. Egli indossava un ricco mantello di pesante e rigido lamé d'oro foderato con una folta pelliccia e mentre parlava col sovrano si slacciò la fibbia lasciando cadere con noncuranza il mantello che si ripiegò a mucchio sul pavimento, poi tranquillamente vi sedette sopra. Finita l'udienza egli prese congedo ma giunto alla soglia del salone fu fermato da un servo che a un cenno del re aveva raccolto il mantello e ora glielo porgeva. Orsato si volse e con fredda alterigia disse ad alta voce: «Un ambasciatore veneto non si porta appresso lo sgabello»; e uscì.
Palazzo Giustinian passò di mano nei primi dell'Ottocento, quando fu acquistato dal pittore Natale Schiavoni che utilizzò molte sale come spazi espositivi per un'importante collezione d'arte. Sempre a questo periodo risale la realizzazione del bel giardino retrostante, ricco di un fitto "boschetto". Qui abitò per sette mesi il compositore Richard Wagner, quando nel 1858, giunse per la prima volta a Venezia; proprio in queste stanze compose l'opera Tristano e Isotta e si innamorò per sempre della città lagunare, diventando suo assiduo visitatore fino alla fine dei suoi giorni. Altro ospite illustre fu il romanziere statunitense William Dean Howells che fu console a Venezia fra il 1861 e il 1865, il quale, prima di ritornare in America, impresse il ricordo di questi anni veneziani nella sua opera Venetian life, pubblicata nel 1866. Attualmente è in parte proprietà della famiglia friulana Brandolini D'Adda, e per un'altra parte, sede dell'Università di Venezia.