Ca Pesaro Guardando questo che appare, tra tutti i palazzi sul Canal Grande, quasi regale nella sua maestosità, così fortemente teatrale nella composizione che associa dettagli plastici di grande razionalità geometrica ad espressioni di elementi naturalistici e fantastici, chi mai potrebbe dubitare del carattere orgoglioso e perfino un po' egocentrico di quella ricchissima e importante famiglia Pesaro che lo fece costruire in un arco di tempo che va dal 1652 al 1710?
Il più magniloquente e titanico fra i palazzi del barocco veneziano fu opera del grande architetto Baldassarre Longhena, seguito nel tempo dal suo altrettanto grande epigono Antonio Gaspari.
Questa possente costruzione, dalla mole incombente e tanto solida da apparire quasi rocciosa, anche per via del forte bugnato che arriva fin alla base del primo piano, è uno dei rari esempi di palazzi veneziani che non limitano gli sforzi decorativi solo alla facciata: infatti il suo fianco, che corre sul rio delle Due Torri (così denominato poiché un tempo vi si levavano due torrette che facevano parte del più antico palazzo dei Pesaro), completato dal Gaspari dopo la morte del Longhena, si apre in una dolce e lenta curva che aumenta ancor più l'effetto veramente scenografico della facciata sul Canal Grande. In questo edificio, insomma, la ricchezza dei marmi e della pietra d'Istria non viene mostrata solo al navigante frettoloso ma è parte integrante dell'intero progetto, senza sconti né concessioni alla modestia.

Una casata, dunque, quella dei Pesaro, caratterizzata da una sfrenata ambizione: dopo aver già posseduto lo splendido palazzo detto Fondaco dei Turchi e poi il meraviglioso edificio gotico di San Beneto, diventato successivamente Fortuny, decise che alla propria grandezza doveva adeguarsi una dimora altrettanto sfarzosa e a dir poco stupefacente e i caratteri del barocco certo aiutavano molto a concretizzare il sogno. E la grandezza la ricercavano ovunque, perfino nelle proprie origini: alcuni genealogisti in vena di piaggerie, attraverso un intricatissimo puzzle di vicende dinastiche, facevano addirittura discendere questa famiglia potente e influente nientemeno che da Giove in persona, altri, evidentemente più seri, da una famiglia Palmieri, originaria di Pesaro, da qui cacciata per rivalità di fazioni e stabilitasi poi a Venezia, dove trovò grandissima fortuna. Grandi e geniali mercanti, dal Trecento al Cinquecento essi commerciarono spaziando in tutti settori merceologici e in tutte le aree geografiche, gestendo capitali enormi e arrivando a possedere grosse navi; i componenti di questa famiglia rivestirono importanti cariche civili e militari (ricordiamo Benedetto, ritratto sulla controfacciata della chiesa dei Frari, che fu capitano generale da mar), influenzando fortemente la politica della Serenissima. Ma, bisogna pur dirlo, oltre che agli affari, essi si dedicarono con grande slancio anche al mecenatismo, del resto ormai costume consolidato fra le famiglie più potenti del tempo: il vescovo Jacopo Pesaro, uomo di guerra e di mare più che di chiesa, legato di papa Alessandro VI in guerra contro i turchi, commissionò a Tiziano la splendida pala che ancora oggi si può ammirare sull'altare della famiglia nella basilica dei Frari, in tutto il mondo nota, appunto, come Pala Pesaro. Nel dipinto, oltre al vescovo, figurano altri membri della famiglia abbigliati in modo veramente sontuoso, apparendo quasi una famiglia regale. Passarono anche brutti momenti per colpa di quella "testa calda" di Leonardo Pesaro, fratello del più famoso Giovanni che diede inizio ai lavori del palazzo e che sarebbe poi diventato doge, il quale terrorizzò Venezia nel Seicento insieme ad altri smidollati signorotti patrizi suoi pari, passato alla storia per i suoi innumerevoli misfatti e le sue odiose bravate che culminarono nel omicidio di tale Polo Lion a scopo di rapina durante un banchetto di nozze. Avvezzo ad ogni tipo di sopruso e di violenza, abituato a prendersi quello che desiderava con la forza e ad ogni costo, fu bandito in perpetuo dal Consiglio dei Dieci che lo privò della nobiltà e dei beni. Quindici lunghi anni durò il suo esilio, poi fu graziato a costo, però, di pesanti condizioni che servirono a tenerlo buono per il resto della sua vita.
Questa famiglia, composita per caratteri, sensibilità e intelligenze, annoverò, fra i propri componenti, anche un appassionato antesignano del volo in mongolfiera: il Procuratore Francesco Pesaro. Della memorabile impresa ci lasciò testimonianza Francesco Guardi che in un suo bel dipinto riprese la scena del pallone aerostatico librato nell'aria mentre una folla assiepata e curiosa lo ammira col naso all'insù, seguendolo nel suo trionfale viaggio che si prolungò per ben dieci miglia passando anche sopra il Canal Grande. Certo il nostro Francesco in altre occasioni dimostrò ben altra determinazione: ad esempio fuggendo di notte con una grossa borsa di denari in quel di Vienna al tempo della caduta della Repubblica, nonostante avesse in precedenza tuonato per la sua difesa ad ogni costo.
Come si è già detto, fu dunque Giovanni Pesaro, brillante diplomatico ed esperto uomo politico, eletto doge l'8 aprile 1658 e morto il 30 settembre 1659, ad avviare i lavori per la costruzione di una nuova e più grandiosa fabbrica su preesistenti palazzetti di proprietà della famiglia, poi inglobati nel nuovo edificio. Strano personaggio il doge Giovanni, già non era del tutto esente da qualche peccatuccio di gioventù (per un certo periodo fu imprigionato con l'accusa di aver incoraggiato a proprio vantaggio le ruberie commesse dai suoi soldati quando era generalissimo in una guerra contro il papato nel 1643) e, ormai maturo e rimasto vedovo, aveva sposato la propria governante suscitando le ire e le ilarità dei veneziani che non sopportavano una dogaressa ex servetta e andavano cantando per le strade: «Vi va el Pesaro dal Caro ( carro) che l'è sta in preson per laro ( ladro) e per ultima pazzia / l'ha sposà dona Maria». E non mancava anche qualche sua piccola mania di grandezza: per disposizione testamentaria, legò dodicimila ducati per la costruzione del suo retorico ed enfatico monumento funebre che incombe tutt'oggi sulla navata sinistra della basilica dei Frari e della cui costruzione fu incaricato colui che era ormai diventato l'architetto di famiglia: il Longhena, appunto.

Il palazzo, nei progetti longheniani originari, si presentava secondo uno schema tripartito: una parte monumentale sul Canal Grande con uno scalone che serviva ad interrompere l'androne, il cortile interno col loggiato aperto e infine la par te di servizio. Però dopo la morte dell'architetto avvenuta nel 1682, Antonio Gaspari che ne proseguì l'opera, cambiò questa planimetria eliminando lo scalone, modificando il disegno del cortile e progettando la facciata laterale sul rio delle Due Torri. La facciata principale fu terminata nel 1710 e rappresenta un esempio di grandissima rilevanza architettonica sia per il forte gioco di contrasti e chiaroscuri che per la presenza di elementi fortemente plastici. Il piano terra e il mezzanino hanno una doppia porta d'acqua e si distinguono per il bugnato a diamante in forte aggetto, in contrasto con i due piani nobili impostati su una struttura architettonica che esalta moltissimo il pieno e il vuoto, scandendo le grandi fine-stre ad arco a tutto sesto con le colonne sporgenti che vengono raddoppiate negli angoli e lungo i muri centrali. Su tutto questo rigore geometrico il trionfo, inatteso e inspiegabile, di fregi, mostri, chimere, cartigli, putti, teste e tutti gli ornamenti tipici del barocco: un contrasto davvero sorprendente tra ragione e sogno. Del resto ciò si può meglio comprendere pensando al fatto che il Longhena aveva voluto, nel progettare questa fabbrica, porre l'enfasi sulla ricerca di un accentuato pittoricismo (i chiaroscuri e i giochi di luce), se non addirittura di effetti che oggi chiameremmo "speciali".
Di altro tono la facciata laterale, costruita con un linguaggio più semplice, splendida nella sua "corsa" prospettica verso Santa Maria Mater Domini, aggraziata eppure perentoria col gioco del rincorrersi delle finestre seriali che paiono adeguarsi alla luce e alla dolcezza della curva del rio.
Si può ben immaginare che tale magnificenza si ritrovava anche all'interno: l'androne regale con la sua splendida pavimentazione marmorea bianca e rosa, bugnato e adornato di busti romani, immette, superato lo scalone, al piano nobile dove un tempo si poteva ammirare il bellissimo soffitto decorato dalla tela Zefiro e Flora di Giambattista Tiepolo (oggi al museo di Ca' Rezzonico) e la ricchissima pinacoteca di famiglia che Pietro, ultimo discendente della famiglia, vendette agli inizi dell'Ottocento.
Poche costruzioni hanno suscitato tante e controverse opinioni, già fra i contemporanei del Longhena: Antonio Visentini, per esempio, maestro dell'architettura settecentesca, criticò la facciata ritenendola troppo piena di orpelli e decori. Comunque la critica, a seconda dei tempi, ha giudicato più o meno positivamente Ca' Pesaro. Certo sui giudizi hanno pesato i lunghissimi tempi di esecuzione, che hanno causato inevitabili incongruenze stilistiche, e la molteplicità degli ideatori che ha impedito una seria unità di intenti.
Estinti i Pesaro nel 1830 il palazzo fu ereditato dalla famiglia Gradenigo dai quali lo acquistò il duca La Masa. Nel 1889 la duchessa Felicita Bevilacqua La Masa lo donò alla città di Venezia affinché venisse utilizzato per aiutare la diffusione dell'arte, soprattutto quella figurativa e industriale e degli artisti poveri e poco conosciuti. Per tale motivo, dal 1902, esso è stato destinato ad ospitare la Galleria d'Arte Moderna e il Museo d'Arte Orientale, quest'ultimo costituito dalla raccolta del Duca di Bardi divenuta poi proprietà dello Stato italiano. La Galleria d'Arte Moderna è, per numero e qualità, seconda soltanto a quella di Roma per quanto riguarda le opere italiane e la più completa d'Italia per le opere straniere.
La Galleria internazionale d'arte moderna attualmente ha sede al primo e secondo piano del palazzo.

Nei primi due decenni del 1900 in Italia fiorirono numerose esperienze rivoluzionarie e antiaccademiche. In polemica contro i maestri della Biennale, Ca' Pesaro tra il 1908 e il 1920 rappresentò una "palestra intellettuale", un trampolino di lancio per giovani artisti italiani: qui artisti diversi gli uni dagli altri per stile e poetica ebbero la possibilità di esporre le proprie opere. Uniti solo dall'impegno di rinnovare il linguaggio artistico italiano, guidati dal critico Nino Barbantini, i protagonisti di Ca' Pesaro proposero linguaggi assai differenti: Arturo Martini si ispirava a modelli arcaici, Felice Casorati era influenzato dallo Jugendstil, Guido Marussig dal simbolismo, Gino Rossi da Paul Gauguin, Tullio Garbari dipingeva una mitica primitiva Valsugana, Pio Semeghini dipingeva una poetica Burano memore dell'esperienza post-impressionista fatta a Parigi, Umberto Moggioli che ospitava nella sua casa di Burano il gruppo dei "ribelli". Espongono a Ca' Pesaro anche Umberto Moggioli,allievo di Guglielmo Ciardi, e Ugo Valeri, noto grafico, illustratore delle riviste più in voga dell'epoca, oltre che raffinato pittore, interprete della società italiana del tempo e ancora Adolfo Callegari, Felice Castegnaro, Mario Disertori, Enrico Fonda, Ercole Sibellato, Guido Trentini, Oscar Sogaro, Antonio Nardi, Pieretto Bianco, Lulo de Blaas, Gabriella Oreffice, Oreste Licudis, Napoleone Martinuzzi, Luigi De Giudici ed Emilio Notte. Accanto a questi nomi vanno ricordati una serie di artisti che si mossero nell'éntourage di Ca' Pesaro, pur non riuscendo ad esporre insieme agli altri per ragioni diverse: la giovanissima età, la guerra, i trasferimenti da Venezia. Tra questi va citato il giovanissimo Bruno Sacchiero, allievo prediletto di Guglielmo Ciardi, morto a soli 24 anni, e alcuni grafici secessionisti quali, Fabio Mauroner, Guido Balsamo Stella e Benvenuto Disertori. Il gruppo rimase sempre eterogeneo: non vi fu mai un manifesto, né il tentativo di mettere a punto un programma. Furono spesso in mostra opere di Boccioni e, allo stesso tempo, oggettistica di qualità (vetri soffiati di Murano, piastrelle in maiolica, ceramiche in stile liberty, poltrone, mobili), importata o eseguita da alcuni dei più proficui membri del gruppo capesarino, come Vittorio Zecchin e Teodoro Wolf Ferrari, secondo un gusto per il decorativo caro nelle arti applicate e caratteristico dell'epoca.


Ca' Pesaro, Galleria internazionale d'Arte Moderna:http://capesaro.visitmuve.it/

Museo d'Arte Orientale:http://arteorientale.org/