Ca' Mocenigo Vecchia
Quello che ammiriamo oggi è il frutto della ricostruzione dello stabile, avvenuta nel Seicento, secondo regole che previdero la conservazione della pianta originaria e delle finestre a sesto acuto, che si possono ancora vedere nel cortile e nella facciata che dà sulla calle. Il progettista della rifabbrica secentesca fu Francesco Contin, già costruttore delle chiese di Sant’Anna, dell’Angelo Raffaele e di Santa Maria del Pianto.
La facciata sul Canal Grande segue il consueto schema, tipico del tempo: il piano terra è privo di mezzanino ed è aperto dall’arcone centrale d’accesso che funge da porta d’acqua, affiancato da due archi più piccoli, i due piani nobili sovrastanti sono identici per altezza e per proporzioni, mossi dalle due ampie trifore centrali ad arco a tutto sesto e dalla serie di due monofore laterali che seguono esattamente il disegno delle polifore. Il poggiolo della trifora del primo piano appare sporgente, a formare un elegante balconcino, a differenza di quello superiore che invece non è aggettante. Grande è la ricchezza e la varietà delle teste marmoree poste nelle chiavi d’arco e delle modanature che sottolineano la disposizione dei piani; per l’esecuzione delle protome, particolarmente raffinate e di precisa esecuzione si è pensato allo stesso (purtroppo sconosciuto) artista che lavorò per gli Zane a San Stin. Probabilmente un tempo l’edificio culminava in due alti obelischi posti sul tetto al fine di conferire maggiore slancio alla costruzione e non si conosce il motivo della loro distruzione.
La grande famiglia Mocenigo era suddivisa in molti rami, e i componenti di quella parte appartenente al ramo cosiddetto di “casa vecchia” si interessavano per lo più di politica, di economia e di cultura, specie filosofica. Diedero ospitalità ai più bei nomi del tempo, attirando presso la loro dimora menti illuminate e anche spiriti controversi come Giordano Bruno, grande oppositore dell’ordine curiale romano, il quale qui soggiornò tra il 1591 e il 1592. Ma, per sua sfortuna, il padrone di casa, preso da scrupolo verso l’autorità religiosa, lo denunciò al Sant’Uffizio col risultato che il frate venne imprigionato, portato a Roma e, dopo un lungo e famoso processo in cui egli mai abiurò al suo credo, giudicato eretico, fu bruciato sul terribile rogo di Campo dei Fiori nel 1600. Altri ospiti illustri furono Thomas Moore e soprattutto Lord Byron, il quale affittò alcune stanze nei Palazzetti Mocenigo fra il 1818 e il 1819 e qui visse una storia clandestina con una tale Margherita, moglie di un fornaio e sua favorita in quel periodo. Compose proprio in questi ambienti i primi due canti del Don Giovanni e in quello stesso periodo compì anche la memorabile impresa della risalita del Canal Grande a nuoto. A perenne ricordo della sua presenza resta una lapide posta sulla facciata. Nella seconda metà del XV secolo un altro ramo dei Mocenigo acquistò delle case attigue dai Falier, le fece abbattere e nella seconda metà del Cinquecento fece costruire la “casa nova”. Le due costruzioni vennero poi raccordate da due palazzetti più bassi, spesso citati dagli scrittori d’arte veneziani poiché un tempo le loro facciate erano completamente affrescate con episodi di storia romana ad opera di Benedetto Caliari e Giuseppe Alabardi. Questi affreschi scomparvero a cavallo dei secoli XVIII e XIX, seguendo la triste sorte di tutti gli affreschi esterni della città; ci resta solo la testimonianza di una stampa di Luca Carlevarijs dalla quale si deduce che le facciate di questi due edifici erano completamente dipinte. La famiglia Mocenigo occupò questo palazzo fino al 1824, anno in cui si estinse il ramo della famiglia che qui aveva dimorato per quattro secoli. Appartenuto successivamente al conte di Robilant, oggi, suddiviso in vari appartamenti prestigiosi, ospita un condominio.