Piazza e Piazzetta San Marco Ci sono a Venezia una sola Piazza e una sola Piazzetta, quelle di San Marco. La Piazza parte dalla facciata della Basilica e si estende nella vasta area cir­condata dalle Procuratie. La Piazzetta è quella che si affaccia sul Canale, cioè sul molo.
Dal vaporetto si ha una visione d’insieme mozza­fiato delle gemme di vario stile che compongono questo stupefacente angolo di Venezia: le classiche arcate della Libreria, l’altissimo campanile, la rina­scimentale Torre dell’Orologio, le fiancate della Basilica bizantina, il gotico fiorito di Palazzo Ducale incorniciati dall’ingresso «fra finito e infinito», come disse Diego Valeri, delle due gigantesche colonne orientali.
In mezzo alla Piazzetta c’erano un tempo delle vere da pozzo e là si attingeva l’acqua. Anche qui, come in tutti i campi e campielli, l’area pavimentata era parecchio sollevata rispetto al livello del canale e dei rii ma purtroppo, a causa del fenomeno ben noto della subsidenza, durante i secoli Venezia è affon­data di parecchie decine di centimetri, e per tale ragione oggi non ci accorgiamo della stranezza del rialzo tipico. Tale rialzo era fatto di proposito perché sotto le lastre della sua pavimentazione erano collo­cati dei cassoni d’argilla verso i quali confluiva l’ac­qua piovana che qui si raccoglieva e si purificava, fil­trando attraverso strati di sabbia. Perciò spesso i rialzi si estendevano per tutto il campo. Fu solo nel 1884 che questo sistema fu sostituito da tubature recanti acqua proveniente da pozzi artesiani di terra­ferma. Le vere dei pozzi che ornavano la Piazza e la Piazzetta furono rimosse, mentre le due meravigliose in bronzo che servivano il Palazzo Ducale sono ancora in loco, nel cortile.

Colonne.
Nel 1125 il doge Domenico Michiel (1118-1130), reduce da una vittoriosa e fortunata spedizione nel Levante, fra le molte preziose antichità portò pure tre colonne di marmo grigio-rosa, però, mentre veni­vano sbarcate una di esse cadde e sprofondò nelle acque del Bacino e non fu possibile recuperarla. I monoliti giacquero a terra per parecchio tempo, poi­ché nessuno era capace di rizzarli, fino a che nel 1172 - secondo la tradizione - Nicolò Barattieri, architetto lombardo, propose di erigerli. Egli chiede­va, quale compenso, il permesso di tenere pubblico gioco d’azzardo all’aperto fra le due colonne e, nonostante il gioco d’azzardo fosse bandito a Vene­zia, la franchigia gli fu concessa. Non tardò molto, però, la Signoria a pentirsene, causa i preoccupanti disordini che quella bisca provocava: ma se avesse mancato alla parola data le colonne avrebbero ricor­dato nei secoli quest’onta. Così pensò di dare un’aria fosca al luogo, decretando che là fossero eseguite le condanne a morte, pur senza revocare la conces­sione.
Ciononostante l’uso del gioco si protrasse a lungo fino a quando il doge Andrea Gritti (1523- 1538) lo abolì usando per primo il termine dispre­giativo di “barattieri”, dal soprannome dell’architet­to, riferendosi ai frequentatori della bisca.
La particolarità delle due colonne sta nella loro analogia con l’inversione dei pieni e dei vuoti di Palazzo Ducale: infatti il capitello più grande poggia sulla colonna più snella, mentre quello più leggero sta sul fusto più massiccio. Su di esse si ergono a guardia le statue dei due patroni della città: San Teo­doro (Todaro), del periodo bizantino, e San Marco che gli successe quale patrono agli albori della Repubblica indipendente. Il San Todaro (il cui ori­ginale è ora in Palazzo Ducale) fu realizzato nel XV secolo con frammenti di provenienza diversa: il leone di San Marco è di autore ignoto: alcuni stu­diosi pensano si tratti di un’antica chimera cinese, trasformata in leone marciano con l’aggiunta delle ali.
Nel 1797 i francesi lo portarono a Parigi con altro immenso bottino e quando fu restituito, nel 1815, gli occhi, gemme di grande valore, erano spa­riti. Da notare che sugli stendardi di Venezia, in tempo di pace, San Teodoro era rappresentato con lo scudo sulla destra e la lancia sulla sinistra, segno di riposo, in posizione contraria e offensiva, invece, in tempo di guerra; mentre il leone, che abitual­mente poggiava una zampa in attitudine pacifica sul libro aperto, indicava la guerra brandendo fiera­mente una spada e poggiando la zampa sul libro chiuso.

Bacino di San Marco.
Questo è il vero ingresso della città, qui arriva­vano nel passato tutte le galere da carico o da guerra, ed è come una gran “piazza” d’acqua dalla quale si diramano le fluide vie dei rii per i meandri della città.
Qui si tenevano i tornei navali in occasione di grandi cerimonie.
Nella piazzetta antistante avveniva il giuramento di fedeltà dei soldati che partivano per la guerra, si consegnavano le bandiere di combattimento, avve­niva il commiato. Qui il doge si imbarcava sul Bucin­toro per qualche occasione solenne, come quando, seguito da uno sfarzoso corteo di imbarcazioni pave­sate e di gondole, si recava nel giorno dell’Ascensione oltre le bocche del Lido, in mare aperto, e con gesto simbolico gettava nell’acqua un anello, dicen­do: «Mare, noi ti sposiamo», a significare l’intima unione di Venezia col suo elemento vitale, e chie­dendo in cambio obbedienza e fedeltà. Le fondamenta lungo il bacino, dopo il Palazzo Ducale, si chiamano Riva degli Schiavoni che significa dei Dal­mati, poiché qui attraccavano le navi della Serenis­sima i cui equipaggi erano in gran parte formati da slavi assoldati.