Palazzo D'Anna Martinengo
Il palazzo venne costruito da ignoto architetto per la famiglia Talenti, ma passò quasi subito in proprietà del facoltoso mercante fiammingo Martino D’Anna (van Haanen). Nella seconda metà del Seicento, la proprietà era allora della famiglia Viario, anch’essa di origine fiamminga, subì importanti restauri per essere poi acquistato, nel corso del Settecento prima da Pietro Foscarini e poi dai Martinengo. Nell’Ottocento proprietario era il conte Giovanni Conti che, alla sua morte, nel 1872, lo destinò ad opere assistenziali (divenne casa di ricovero). Nel 1917, infine, ne divenne proprietario il Volpi (1877-1947), controverso personaggio, faccendiere ammanicato col regime del tempo, padre della nascita della Venezia di terraferma, cioè delle zone industriali di Marghera, con tutto quel che ne conseguì per la laguna e per la Venezia insulare, che ne fece la sua dimora abituale e il suo luogo di lavoro.
I Martinengo, conti bresciani, furono dei mercenari al servizio di Venezia, cui diedero valorosi ed esperti condottieri come Gerolamo, governatore di Corfù, quindi di Candia, e Nestore, uno degli infelici difensori di Famagosta; ma le cronache militari ricordano particolarmente Gabriele che fu il più famoso artigliere e ingegnere da assedio dei suoi tempi. Allorché Solimano il Magnifico decise di impossessarsi di Rodi, nel 1522, il Gran Maestro dell’ordine dei Cavalieri di Rodi s’era rivolto per aiuto al Martinengo e questi, nonostante avesse un’ottima posizione a Creta al servizio di Venezia, mosso dall’ammirazione che provava per il valore dei Cavalieri di Rodi, accettò di dividere con loro l’impossibile impresa della difesa.
Le sue artiglierie, manovrate con micidiale precisione, fecero dei vuoti spaventosi nella marea di turchi. E fu lui che col suo ingegnoso sistema riuscì per molto tempo a frustrare ogni tentativo nemico di entrare in città attraverso gallerie scavate sotto le mura: infatti egli stesso aveva fatto aprire delle controgallerie e, appostato in esse, spiava le vibrazioni di una pelle di tamburo tesa che rivelava in quale direzione gli zappatori turchi lavorassero. Allora in quella direzione egli faceva rotolare dei barili di polvere da sparo, accendeva la miccia e si poneva in salvo. L’esplosione poneva fine a tutto. Quando, dopo una vera ecatombe, la moltitudine dei turchi ebbe finalmente ragione di quel manipolo di eroi stremati, Martinengo era gravemente ferito, colpito agli occhi mentre spiava le mosse nemiche da una feritoia, passò molto tempo prima che egli potesse nuovamente vedere. Solimano, ammirato, nonostante la collera e il dolore per le gravissime perdite subite, concesse ai superstiti di abbandonare l’isola senza molestie.
L’immobile appartiene ora ai Volpi di Misurata.