Palazzo Corner
I Corner, o Cornaro, erano una delle quattro antichissime famiglie «evangeliche» che stanno alla base stessa della fondazione di Venezia. Essa influenzò non poco la vita della Repubblica e legò il suo nome a molti dei più maestosi palazzi del Canal Grande.
Nel '300 i Corner avevano accumulato una favolosa fortuna, tanto che la Signoria ordinò a due fratelli, che gestivano enormi affari nel Levante, di sposarsi «così le mogli li avrebbero aiutati spendere un po' di denari».
Ebbero quattro dogi. Uno di essi, il riluttante Giovanni (1625-1629) tentò di sottrarsi al gravoso incarico, ma gli fu chiesto seccamente se intendeva fare il poltrone quando le sue condizioni fisiche e mentali potevano essere impiegate per il bene della Repubblica: forse che un condottiero si ritira dal campo di battaglia? Il povero Giovanni, compresa la velata minaccia di quel discorso, dovette rassegnarsi a salire il soglio dogale.
Ma il nome certamente più popolare di questa famiglia, sebbene non il più illustre, è quello di Caterina (1454-1510). I Corner, che fra l'altro godevano anche del monopolio del sale e delle piantagioni di zucchero a Cipro, su consiglio della Signoria avevano fornito sostanziosi aiuti finanziari ai signori dell'isola, i Lusignano, ottenendone il feudo di Piscopia. Non fa meraviglia, quindi, che la diciassettenne Caterina divenisse una pedina politica e fosse data in moglie nel 1472 al re Jacopo Lusignano. Anzi il doge Tron, pronubo dell'unione, la fece dichiarare «figlia prediletta della Repubblica», dando così un crisma politico all'evento e ponendo le basi per una futura sovranità veneziana sull'isola. Un anno dopo Jacopo moriva e il figlio che Caterina dava poi alla luce lo seguiva nella tomba. Nonostante le pressioni della Repubblica, ansiosa e decisa a estendere il suo dominio sulla fertilissima e strategica Cipro, Caterina non volle abdicare. Questo è l'unico caso nella lunga storia di Venezia in cui un membro del patriziato rifiutò di obbedire agli ordini del Senato. Visto che non la si poteva piegare con la ragione, la Signoria ricorse all'astuzia e infine, come ultima risorsa, alle maniere forti: fu così che un giorno del 1488 l'armata navale comandata da Francesco Priuli apparve al largo di Famagosta. I messi fecero sapere alla regina che i turchi si preparavano ad attaccare l'isola. Caterina non era veneziana per niente: cadde nell'inganno e capì che non aveva altra scelta che inchinarsi alla sorte. Accompagnata trionfalmente a Venezia, ella consegnò al doge lo scettro e la corona su un cuscino e si ritirò a vivere nelle terre di Asolo, che le erano state donate, circondata da artisti e letterati.
Una nota curiosa che concerne un doge Corner: a Venezia la moda della parrucca era stata importata dalla Francia nel 1665 da uno dei Collalto. Nel 1668 il Consiglio dei Dieci emanò un decreto contrario a quest'uso, ma da allora, pur fra polemiche e brontolamenti dei conservatori, le parrucche si diffusero irresistibilmente. Uno storico così si lamenta: «... millecinquecento parruccheri... cui per l'esercizio dell'arte loro confidentemente veniva schiusa la porta di ciascuna stanza, e quella dei più custoditi recessi delle femmine e delle damigelle, erano altrettanto sfacciatissimi ambasciatori di Cupido, e di ingiusti favori mezzani infamissimi...».
Sappiamo che ad onta di un decreto del 1701 che imponeva una tassa a tutti coloro che portavano la parrucca, il primo doge ad adottarla fu Giovanni Corner, nel 1709, e l'ultimo patrizio a portarla fu Antonio Correr, morto nel 1757.