Edifìcio gotico con belle quadrifore centrali, risalente con ogni probabilità alla metà del XV secolo. Altrettanto bello è il grande portale archiacuto. La fabbrica, che la fantasia ottocentesca aveva attribuito nientemeno che all'architetto Filippo Calendario (il progettista di Palazzo Ducale), ha comunque subito molteplici ristrutturazioni nei secoli (praticamente fu quasi ricostruito nel 1847-48 dall'architetto Giovanni Battista Meduna), fino al pieno Novecento. Tali ristrutturazioni si evidenziano soprattutto nel lato dell'edificio rivolto al rio di Santa Fosca dove sono visibili varie contaminazioni, evidenziate dalla mescolanza di aperture in stile gotico, tardorinascimentale, settecentesco e neogotico.
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L'antichissima famiglia Giustinian, la cui importanza è testimoniata dai molti palazzi di Venezia, fu una delle famose quattro "evangeliche", ma nel 1171 corse il rischio di estinguersi perché tutti i maschi erano morti in battaglia o per peste, salvo uno che però si era ritirato a vita monastica. Tuttavia i veneziani non potevano permettere che una delle loro più grandi famiglie, avendone la possibilità, non continuasse a perpetuarsi. Inviarono perciò una supplica al papa il quale sciolse Nicolò Giustinian dai voti religiosi. Questi allora sposò Anna Michiel la quale gli diede nove maschi e tre femmine. Allorché i figli furono cresciuti e sistemati, Nicolò fece ritorno al suo monastero.
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Casa-fondaco veneto-bizantina, della metà del XIII secolo, localizzata nell'area di più antico insediamento, vale a dire Rialto. Fu ristrutturata a più riprese dal Quattrocento in poi e soprattutto nel Seicento, quando venne anche sopraelevata. Conserva della struttura originaria il portico a tre arcate della facciata che prospetta sull'acqua (attualmente le due arcate più esterne sono state murate, mentre quella centrale funge da portone d'ingresso). In asse, ai piani superiori, un'infilata di finestre: due esafore sovrapposte rimaste a testimonianza dell'antico impianto duecentesco, ai lati invece, monofore di epoca più tarda.
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Bell'edificio rinascimentale dei primi decenni del XVI secolo la cui spaziosa facciata, benché intonacata di rosso e priva di paramento marmoreo, risente dei modi dei Lombardo nella sagomatura delle finestre ad arco, nella delicatezza delle cimase e nell'eleganza delle proporzioni. Al centro dei piani superiori campeggiano due poggioli a quattro luci. Il palazzo, che fu dei Giustinian, una delle famiglie più importanti e di più antica nobiltà veneziana, passò poi alla famiglia
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Questa sontuosa dimora sul Canal Grande, conosciuta un tempo come "il Grimani dall'albero d'oro" per la particolare denominazione di questo ramo della famiglia, è da annoverare sicuramente tra gli edifici più eleganti in stile lombardesco costruiti a Venezia. Precedentemente, sullo stesso sito, sorgeva un palazzo antichissimo, del XII secolo, il cui aspetto conosciamo grazie al disegno della pianta di Venezia cinquecentesca, opera di Jacopo De Barberi e, nella metà del Cinquecento, risistemato secondo i canoni della moda fatta conoscere in città dai Lombardo. Sia il progetto del prospetto che i lavori interni vennero probabilmente
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Edificio tardorinascimentale, eretto verso la fine del XVI secolo, con trifora balconata al centro del piano nobile. I Gritti erano una delle famiglie “nuove“, ma che aveva svolto attività tribunizia fin dai primi tempi e della quale si hanno notizie dal 1200. Si è estinta nel secolo scorso. Come tutte le altre famiglie patrizie, diede alla Serenissima capaci servitori, il più importante dei quali fu Andrea (1455-1538), tipica figura del Rinascimento. Coltissimo, conoscitore di molte lingue, anch'egli dispiegò le sue multiformi doti nella mercatura, nelle armi, nella diplomazia.
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Si tratta di un austero edificio della seconda metà del Cinquecento, con facciata laterale sul Canal Grande, che insiste a metà strada tra il Ponte dell'Accademia e la chiesa della Madonna della Salute. Già appartenuto alla famiglia Loredan prima, Caldogno e Valmarana poi, divenne dimora di don Carlos di Borbone, duca di Madrid e pretendente al trono di Spagna, a cavallo tra Otto e Novecento. Nel corso di questo XX secolo diventò residenza del conte Vittorio Cini, imprenditore e grande mecenate, amante delle arti e di Venezia, che ebbe il grandissimo merito di recuperare il complesso monastico dell'isola di San Giorgio e nel quale
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Palazzo tardogotico, costruito attorno al 1470 con le medesime componenti stilistiche di Ca' Foscari, è caratterizzato da un grande rigore compositivo e belle proporzioni. Nella facciata sul Canal Grande si possono ritrovare motivi tardogotici accostati a richiami proto rinascimentali, proprio come accade nella più maestosa dimora Foscari. Gli archi della quadrifora al piano nobile sono intrecciati e formano motivi a quadrilobo. Tra le monofore laterali due nicchie ospitano paggi reggi-scudo di fattura lombardesca del secolo XV che preannunciano già il primo gusto rinascimentale. Al secondo piano nobile si vede un'altra quadrifora aperta, dietro la
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L'edificio, a tre piani, che oggi appare un po' spoglio è collocato nel punto di transito del traghetto di gondole di San Tomà. Esso è frutto di una ristrutturazione seicentesca, un tempo doveva essere certamente più importante, dato che è citato da cronisti cinquecenteschi, come adatto ad ospitare grandi feste e come contenitore di una importante quadreria privata che annoverava dipinti eseguiti da Giorgione, Tiziano e Giovanni Bellini. Il palazzo prende il nome per la presenza ai lati del portale, quasi a livello stradale, di due altorilievi medioevali
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Piccolo edificio a un solo piano nobile, con serliana centrale affiancata da monofore centinate inscritte in una cornice trabeata, consueta nell'architettura del XVII secolo. I Marcello discendono dalla gloriosa "romana gens" omonima. La famiglia ebbe due dogi: Tegalliano (717-726), il secondo dei due soli dogi con sanzione del Basileus prima che Venezia si svincolasse politicamente da Bisanzio; e Nicolò (1473-1474). Ma pur fra tanti famosi capitani e statisti, che questa famiglia diede alla Serenissima, il suo nome rifulge per la gloria di due fratelli musicisti: Alessandro (1684-1750) e più ancora Benedetto (1686-1739), che nacque nel palazzo Marcello in rio della Maddalena.
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Sobrio ed austero edificio degli inizi del XVI secolo, anche noto come palazzo Guoro, è stato certamente eretto su preesistenti fabbriche gotiche, dei primi decenni del Cinquecento, ma estremamente rimaneggiato nell'Ottocento. La liscia parete muraria della facciata è interrotta solo dalle semplici aperture arcuate che si addensano al centro in due quadrifore sovrapposte, dei due piani nobili, con balconi, decorati da motivi floreali sul colmo degli archi. La facciata laterale sul rio risulta ancor più semplice e spoglia, segnata solo da una serie di monofore e bifore.
Grande palazzo gotico, costruito nel XV secolo dai Morosini del ramo di San Cassian. Malgrado le manomissioni subite, tra cui la demolizione di un piano, conserva un significativo esempio di gotico fiorito veneziano. La facciata sul canale presenta un pianoterra a bugnato, interrotto da due rive d'acqua con arco ogivale e da quattro altre piccole finestre dello stesso stile; più sopra il primo piano nobile caratterizzato da una splendida esafora al centro e da due coppie di monofore laterali (tutte le aperture sono ad arco ogivale, con fiorone gotico e dentro cornici a dentelli) e più sopra ancora ecco il secondo piano nobile che
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Questo palazzo è un bellissimo esempio di architettura tardogotica dalle atmosfere suggestive, specie quando di notte dagli splendidi finestrati a traforo del "salone delle feste", filtra la luce delle candele che adornano ben undici preziosi lampadari di Murano (la luce elettrica qui non ha ancora fatto il suo ingresso). Fu eretto nella seconda metà del XV secolo dalla famiglia Bembo e, sebbene abbia subito rimaneggiamenti nel '500 e nel '700,
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Interessante piccolo edificio, risalente alla fine del XIII o all'inizio del XIV secolo, nel quale si può cogliere il passaggio dallo stile veneto-bizantino del portico a pianterreno (ora parzialmente murato), con gli archi rialzati, al primo stile gotico. La famiglia "nuova" dei Priuli diede a Venezia illustri uomini di toga e di armi. È tuttora esistente. Come per i Barbarigo, anche due fratelli Priuli salirono uno dopo l'altro al soglio dogale.
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Semplice e lineare costruzione settecentesca in angolo con il campo della Carità. Costruita sull'area di un edificio gotico, presenta al centro del piano nobile una semplice trifora arcuata e con poggiolo, affiancata da monofore.
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Grande edificio sei-settecentesco che adotta il consueto schema distributivo delle case-fondaco veneziane a trittico, con polifore al centro e monofore centinate ai lati, racchiuse da cornici trabeate, costituisce un pregevolissimo esempio di architettura rinascimentale in laguna. Il nucleo originale dell'edificio venne eretto negli ultimi anni del Quattrocento per la famiglia Zane. Verso il 1560 venne ristrutturato quasi completamente: perse la sua struttura di casa mercantile, venne sopraelevato con un secondo piano nobile per acquistare pienamente la nuova funzione di casa di rappresentanza.
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Questo palazzo eretto nell'800 su progetto dell'architetto Giacomo Dell'Olivo fu la sede espositiva della celebre famiglia di maestri vetrai: i Salviati. Venne sopraelevato con un secondo piano nel 1924 e, in quell'occasione decorato col grande mosaico presente al centro della facciata, vero e proprio manifesto pubblicitario "ante litteram", per questa importante impresa di produzione vetraria e di materiali musivi. Nel 1859, Antonio Salviati, un avvocato innamorato della mitica città lagunare volle la rinascita del vetro veneziano che stava cedendo il passo al cristallo d'Inghilterra e di Boemia.
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Sull'area di un fabbricato precedente, probabilmente vento-bizantino, venne costruito verso la metà del Cinquecento il palazzo oggi esistente. La facciata, della quale non conosciamo il progettista, è assolutamente in linea con lo stile rinascimentale; essa si sviluppa con doppio portale e quadrifore centrali balconate. Completano il disegno architettonico le coppie di monofore laterali, i due balconi aggettanti delle quadrifore, le aperture rettangolari del mezzanino sottotetto, i marcapiani e la rilevata cornice di gronda a barbacani rovesciati. Ben più ricco doveva essere il decoro artistico se pensiamo che il palazzo reca ancora sulla facciata qualche traccia di affreschi attribuiti ad Andrea Meldolla, detto lo Schiavone perché originario della Dalmazia (1522-1563).
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Come un verso troncato, un dipinto appena tracciato: così ci appare palazzo Venier dei Leoni. Era una famiglia non solo ricchissima, quella dei Venier, ma anche autorevole e politicamente molto potente. Uno dei suoi rami si trasferì a Candia partecipando poi, nel XIV secolo alla ribellione contro la Repubblica. Diede tre dogi, ambasciatori e amministratori. Il primo doge fu Antonio, detto Antoniazzo dagli intimi (1382-1400): nonostante avesse offerto alla città divertimenti per tutto il corso di un anno per celebrare la propria elezione, era un uomo duro e intransigente.
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Qui sorgeva un palazzo antico che venne distrutto dal bombardamento austriaco del 1849 e in seguito ricostruito e ampliato. La struttura è molto semplice con finestre rettangolari poste ai lati del settore mediano, contrassegnato dal portone d''ingresso e dal soprastante balcone centinato. Gli Zen sono famiglia antica, tuttora esistente, che diede molti illustri personaggi e un doge, Reniero (1253-1268), il quale decise di finirla con la sleale concorrenza commerciale di Genova nel Levante
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Da secoli in questo luogo ha vita il mercato del pesce. L'attuale Pescheria è costruzione neogotica, realizzata da Domenico Rupolo e Cesare Laurenti nel 1907. Il pianterreno è interamente occupato da un portico ad archi ogivali, mentre al piano superiore, dove hanno ora sede gli uffici comunali del Ced, si apre una loggia trabeata su esili colonnine.
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È curioso notare come coloro i quali godono di spirito pratico e sono lungimiranti, spesso non riescano a realizzare i loro progetti e anzi siano talvolta derisi dai conservatori di mente ristretta. Dalla Cronaca Magno veniamo a sapere che il 10 agosto 1488, su richiesta di Luca Tron provveditore del Comune, fu avanzata una proposta di fare due ponti sopra il Canal Grande, l'uno a Santa Sofia, l'altro alla Carità, ma che tutto il congresso ne rise e non fu neppure passata ai voti: perciò Rialto, più volte rifatto, con-tinuò ad essere il solo ponte di Venezia. Dovevano trascorrere oltre quattro secoli prima che il sogno
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Fu dapprima un semplice pontone, in parte appoggiato su barche, che si chiamava "ponte della moneta" perché su quella che è ora la Riva del Ferro esisteva la prima Zecca veneziana. Esso venne costruito nel 1170 - secondo la leggenda - da quello stesso architetto Barattieri che riuscì poi a sollevare a San Marco le due alte colonne portate dall'Oriente dal doge Michiel. La crescente importanza del mercato di Rialto sulla sponda orientale del canale fece aumentare il traffico sul ponte galleggiante
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È detto anche ponte della stazione o della ferrovia a causa della vicinanza della Stazione di Santa Lucia. Un primo ponte fu realizzato nel 1858 dall'architetto austriaco Alfred Neville sotto la dominazione asburgica, per migliorare l'accesso alla Stazione di Santa Lucia recentemente costruita. Si trattava di un ponte in ghisa a struttura rettilinea, molto simile a quello eretto pochi anni prima dallo stesso Neville all'Accademia. L'altezza limitata (4 metri) impediva il passaggio di imbarcazioni alberate e lo stile dichiaratamente "industriale" mal si conciliava esteticamente con le strutture circostanti.
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Sullo sperone che divide l'imboccatura del Canal Grande dal canale della Giudecca, chiamato anche "Punta da Màr", risiedeva fin dal XIV secolo un corpo di guardia per le operazioni doganali, qui trasferito dal sestiere di Castello dove, per l'ampliamento dei traffici, era divenuto inadeguato. In questo luogo si scaricavano le merci in arrivo dal mare e si pagava il dazio. Il primitivo edificio si mantenne fino al 1667 quando l'intero complesso fu ricostruito su progetto dell'architetto e ingegnere idraulico Giuseppe Benoni. Sua è anche la solida torre in pietra d'Istria della "Palla d'Oro", sfera in bronzo
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Antica estremità di Venezia che congiungeva, tramite un ponte in legno, l’isola prospiciente in cui un tempo aveva sede il Convento di Santa Chiara. Attualmente tutta questa zona è stata unita e trasformata nello snodo di entrata e uscita dei mezzi di trasporto, autobus e macchine, verso la terraferma: Piazzale Roma.
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La Riva del Vin è così chiamata poiché, già dall'XI secolo e fino alla metà dell'Ottocento, vi approdavano e stazionavano le barche cariche di vino. Nel XIII secolo, sulla stessa riva, veniva istituito l' "Uffizio del Dazio del Vin". La Riva del Vin, anticamente, era chiamata riva del Ferro (per la vendita del ferro che avveniva sotto il portico del palazzo dei Dieci Savi), ma poi questo nome passò ad identificare la riva opposta del Canal Grande, dal lato del sestiere di San Marco. Anch'essa aveva un altro nome prima della costruzione del Ponte di Rialto, era chiamata, infatti, Riva della Moneta, in quanto lì vicino si trovava l'antica Zecca.
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Di questa antica Scuola veneziana si sono perse molte notizie. Si trova in un piccolo edificio incastonato a lato della chiesa di San Simeon Piccolo. Probabilmente faceva parte di quella serie di antiche istituzioni tipicamente veneziane a carattere associativo-corporativo. Le Scuole erano confraternite laiche (a Venezia le prime associazioni di lavoratori risalgono all'XI secolo) che eleggevano un santo protettore e alle quali aderivano cittadini di ceto medio. I patrizi aderivano solo alle Scuole Grandi.
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Addossata alla chiesa di San Stae si trova la sede della Scuola (o Scoletta) dei Tiraoro e Battioro. La Scuola venne fondata nel 1420 ed aveva inizialmente sede ai Santi Filippo e Giacomo, poi nella chiesa di San Lio, dove rimase fino al 1710 quando si trasferì a San Stae. L'edificio, in stile tardo barocco, è attribuito all'architetto Giacomo Gaspari, che aveva partecipato senza successo al concorso per la facciata della chiesa di San Stae. I "tiraoro" fabbricavano fili d'oro per la manifattura tessile, per l'abbigliamento
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Antica Scuola Grande della Carità, di epoca gotica, la cui facciata marmorea sul campo, tripartita da grandi colonne composite sorreggenti un attico, è opera settecentesca di Giorgio Massari e Bernardo Maccaruzzi. Dal 1820 funge da ingresso alle Gallerie dell'Accademia, la più importante raccolta d'arte veneziana che conserva innumerevoli capolavori provenienti da lasciti di privati o da chiese e monasteri soppressi, soprattutto legata a dipinti del periodo che va dal XIV al XVIII secolo. Tra i maggiori artisti rappresentati figurano Giorgione, Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, Tintoretto e Tiziano. Vi si conservano anche altre forme
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