Quando, nel XIV secolo, la famiglia Dandolo si fece costruire questo palazzo lungo la riva degli Schiavoni questa era sicuramente molto diversa da come la vediamo oggi, c’erano meno costruzioni e quelle poche differivano notevolmente da quelle attuali.
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Fin dal secolo XIII erano molto numerosi i “tedeschi” presenti a Venezia (da intendersi più genericamente come mercanti d’oltralpe), che vi giungevano per scambi e commerci, ragion per cui il Senato assegnò loro questa sede sul Canal Grande, vicinissima all’area di Rialto, cioè il cuore mercantile della città, allo scopo di poter meglio esercitare il controllo sulle loro attività, ponendo, inoltre, una serie di regole che gli ospiti erano tenuti ad osservare: qui essi dovevano abitare durante la loro permanenza a Venezia e tenervi le merci, sia quelle portate dall’estero che quelle acquistate in loco. Al Fondaco dei Tedeschi presiedevano tre patrizi che avevano il titolo di “vi- sdomini”. Vi erano inoltre un pubblico pesatore delle merci, due ragionieri, e un fontegajo, o custode. Ogni anno, alla vigilia di Natale e nell’ultimo giorno dell’anno, il fontego veniva visitato dal clero di San Bartolomeo che vi si recava in solenne processione. Marin Sanudo, famoso cronachista veneziano, ci narra delle molte e fastose feste che si tennero in questo palazzo dove, nei secoli XVI e XVII, era usanza tenere, nei tre giorni e nelle tre notti antecedenti all’apertura del carnevale, affollati balli pubblici mascherati.
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Edificio lombardesco della fine del XV secolo con arioso portico terreno, ora chiuso, era l'antica sede dei Magistrati della farina. Attualmente è sede della Capitaneria di Porto. Quella dei “Signori della farina” era una carica di grande impegno e responsabilità, poiché essi dovevano provvedere ad ogni costo la popolazione dell’alimento base, e questo, in tempi in cui le carestie ricorrevano di frequente in terraferma, era veramente un compito arduo. Negli uffici del magistrato, su una pergamena pendente da un nastro, si poteva leggere
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Si trovano a sud di Piazza San Marco, dopo il palazzo della Zecca, lungo il pittoresco molo che costeggia il bacino San Marco, in una zona un tempo chiamata “Terra Nova”. Anche questi sorsero per volontà di Napoleone e furono realizzati all’inizio dell’Ottocento accanto al Palazzo Reale (Procuratie Nuove), su di un’area occupata fino al 1310 da squeri, in seguito da granai pubblici e, nel 1380, anche da prigioni dove venivano rinchiusi i genovesi fatti prigionieri durante la guerra di Chioggia.
Un tempo Venezia era circondata dal verde, i campi della città erano destinati alla coltivazione o al pascolo degli animali (da qui l’origine del nome campo), ma col passare dei secoli queste zone sono state man mano ricoperte dai "masegni" le lastre di trachite utilizzate per la pavimentazione della città. Al giorno d’oggi il verde pubblico non è molto esteso, si tratta complessivamente di circa 120.000 mq suddivisi in sei giardini sparsi per la città: la Pineta di S.Elena, i Giardini Napoleonici, i Giardini Groggia, i Giardini Papadopoli, i Giardini Savorgnan e i Giardini Reali.
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L’Hotel Bauer è una costruzione neogotica ottocentesca ad opera di Giovanni Sardi. Da quando ha aperto le sue porte nel 1880, ha perpetrato una tradizione di grande ospitalità a Venezia. In origine l’albergo era conosciuto come Bauer-Grünwald, in parte grazie ad una piccola storia d’amore veneziana. Un giovane austriaco intraprendente, Julius Grünwald, arrivò a Venezia e si innamorò della figlia del signor Bauer, il rispettato direttore dell’Hotel de la Ville di Venezia. Apprezzando il talento del giovane Grünwald per gli affari e l’eleganza, il signor Bauer approvò l’unione e il resto è storia.
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Piccolo ed estremamente semplice l’edificio presenta stilemi tipici del gotico della prima metà del Quattrocento. Rispetto alla riva del Canal Grande è leggermente arretrato ed è preceduto da un piccolo giardino.
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Piccolo edificio della seconda metà del XV secolo, con esafora archiacuta decentrata e monofora all’estremità destra del piano nobile. Fu malamente rimaneggiato all’ultimo piano, dove i poggioli delle finestre invadono la riquadratura marmorea delle sottostanti aperture.
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Costruito tra il 1614 e il 1634 su progetto attribuito a Bartolomeo Monopola, questo palazzo ha la fronte principale sul campiello Pisani, adiacente a campo Santo Stefano. Fatto costruire dal marchese e stimatissimo scienziato Giovanni Poleni nei primi decenni del Settecento, venne venduto alla ricchissima famiglia Pisani nel 1751 per 8000 ducati, così che poteva giungere a coronamento il sogno dei membri di questa antica e ambiziosa famiglia, cioè di affacciarsi con la propria dimora sul Canal Grande, cosa che, fin dalla costruzione dell’enorme palazzo retrostante, era sempre stata loro negata dalla Repubblica. Il palazzetto, infatti, dopo l’acquisto, venne unito alla Ca’ Granda forando un muro comune, trasformando quindi i due stabili attigui in un unico, ancor più grande, edificio.
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Databile nella seconda metà del XVI secolo, è il risultato dell’aggregazione di due edifici preesistenti i cui distinti assi principali si assommano visivamente al centro formando un insieme disomogeneo di bifore sovrapposte affiancate a trifore, poste per di più su piani sfalsati. Secondo l’uso del tempo, la facciata venne completamente affrescata con soggetti allegorici dal pittore bresciano Camillo Ballini, seguace e collaboratore di Jacopo Palma il Giovane. Gli affresci sono andati quasi completamente perduti. I Barbarigo appartennero al gruppo delle famiglie "nuove" e si estinsero agli inizi dell’800. Si dice che il nome del casato traesse origine dalle gesta di Arrigo,
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Il palazzo, che si affaccia sul Canal Grande, subito oltre l’enorme Palazzo Corner della Ca’ Granda, alla confluenza del rio di Santa Maria del Giglio, è di origine secentesca e si presenta chiaramente asimmetrico, quasi certamente non completato (ma forse si tratta semplicemente di una soluzione dovuta alla carenza di spazio costruttivo, espediente che era già stato adottato per un altro palazzo della stessa famiglia sito alla Maddalena a Cannaregio). Se si guarda la sua facciata, infatti, si noterà come manchi del tutto la sua parte sinistra (quella che avrebbe dovuto esserci al posto di parte dell’adiacente Palazzo Minotto)
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Questo solenne edificio, adiacente al palazzo Franchetti, offre il prospetto principale al Canal Grande ed è un bell’esempio di struttura archiacuta del primo Quattrocento, costruito sul modello che cominciò a diffondersi a Venezia dopo la ristrutturazione di Palazzo Ducale. In realtà si tratta di un complesso di due edifici, uno gotico e l’altro, invece, ricco di richiami barocchi, che furono progettati, il primo, da Giovanni Bon nel 1425, e il secondo da Antonio Gaspari nel 1694. L’edificio più antico era stato dapprima di proprietà degli Spiera, in seguito di uno speziale di nome Pietro Franco e poi di tale Nicolò Aldioni, dagli eredi del quale era stato acquistato
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La costruzione della stazione di Santa Lucia comportò l'abbattimento dell'antica chiesa palladiana di Santa Lucia e di alcuni palazzi seicenteschi (palazzo Bragadin e palazzo Barzisa) e cinquecenteschi (palazzo Lion Cavazza) al posto dei quali sorse in epoca moderna l'attuale palazzo Barzizza. Questo grande edificio, sede un tempo della Regione Veneto e della mensa ferroviaria, è stato di recente coinvolto nel complesso restauro della zona tra la stazione e il Ponte della Costituzione. I lavori hanno provveduto a modificare l'assetto della mobilità urbana da e per la stazione velocizzando lo scambio verso Piazzale Roma, ridisegnando in particolar modo l'area del pian terreno e convertendola interamente ad uso commerciale.
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Lungo la Riva del Carbon e affacciato sul Canal Grande, si erge questo grande e splendido palazzo tardogotico nelle cui stanze pare che fosse nato (anche se mai vissuto), nel 1479, il cardinale umanista e letterato Pietro Bembo, amico di Lucrezia Borgia e di Caterina Corner il quale, però, apparteneva ad un ramo diverso della antichissima e illustre casata dei Bembo. Questi ultimi furono presenti sulla scena veneziana fin dal 697, quando concorsero all’elezione del primo doge (erano membri di una delle quattro famiglie “evangeliche” che portarono alla fondazione della città).
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Posto alla confluenza del rio di San Giovanni Crisostomo, è frutto della ristrutturazione di un più antico edificio. La stretta facciata è occupata nei due piani nobili da una trifora ad ampi archi su colonne, mentre il portale d’ingresso è in posizione decentrata. È stato sopraelevato in tempi più recenti. Degno di nota è anche il portale di terra, neogotico con cordone e cornice a dentelli, residuo della più antica preesistenza, che si trova oltre il sottoportico. Qui, protetto dal doge Andrea Gritti, e ospitato dall’amico Domenico Bolani, prese dimora il famoso letterato Pietro Aretino (1492- 1556), temuto da tutti i potenti per i suoi caustici e taglienti
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Edificio seicentesco con pianterreno a bugne rustiche e serliana al piano nobile in asse con il portale d’ingresso. Lo spostamento di quest’ultimo, decentrato sulla destra, fa apparire la facciata assolutamente asimmetrica. Le tradizionali coppie di monofore sono, in questo edificio, solo a sinistra il che conferma la sensazione di incompiutezza che permane nonostante abbiano gli stessi motivi stilistici dei rispettivi piani e siano collegate dai consueti motivi delle fasce orizzontali in pietra d’Istria.
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Giovanni, eletto nel 1312, fu uno dei più illustri dogi della Repubblica e morì a 88 anni, nel 1328, fra il compianto generale. Non ebbe una vita facile, ma mostrò sempre grande abilità ed energia nell’affrontare i problemi politici e militari. Salendo al dogado egli aveva ereditato una pesante situazione di conflitto con la Chiesa che nel 1308 aveva scomunicato Venezia per essersi schierata dalla parte di uno dei signori di Ferrara inviso alla Santa Sede. La scomunica in quei tempi significava per Venezia perdere tutto quanto essa possedeva nel mondo cattolico, edifici, beni, uomini: a Genova, per esempio, i veneziani furono uccisi in massa o fatti schiavi. Era un vicolo cieco dal quale il Senato non aveva trovato modo di uscire, ma nel 1324 Giovanni Soranzo riuscì ad appianare le gravi e imbarazzanti divergenze con il papato, comprando la riconciliazione a peso d’oro.
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La facciata principale di questo palazzo, che prospetta sulla riva del Canal Grande, proprio alla confluenza in questo del rio di San Luca, è esemplare dello stile gotico fiorito veneziano e presenta, ad altezza del primo piano, due grandi scudi del XV secolo con dei cavalli marini, sculture che hanno poi dato il nome a questo bellissimo palazzo.
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Si tratta di uno dei maggiori esempi, pur se ampiamente e in più momenti ristrutturato, di architettura gotica della seconda metà del Quattrocento. Le ricerche intorno alle origini di questo imponente e vistoso edificio che s’affaccia sul Canal Grande affianco del Ponte dell’Accademia, sono sempre rimaste avvolte in una sorta di approssimazione, quasi di mistero. Tuttavia le radici della storia del palazzo vanno legate alla famiglia Marcello del ramo di San Vidal che, all’inizio del Cinquecento, possedeva una grande dimora sul Canal Grande. Per tre secoli, le sue vicende sono state segnate dalla convivenza al suo interno dei diversi nuclei di famiglie proprietarie:
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Edificio classicheggiante del XVII secolo che presenta gli stilemi del tardo Rinascimento a seguito della ristrutturazione avvenuta nel corso del XVII secolo di un palazzo tardogotico già esistente nella medesima area, sempre di proprietà Civran, famiglia qui residente almeno fin dal Trecento. Ad essere più precisi il rifacimento, “di nobile aspetto” come avvertiva un contemporaneo, avvenne certamente prima del 1663 e probabilmente attorno ai primi decenni di quel secolo, dato che presenta caratteristiche architettoniche e decorative di quel periodo. Più di un critico d’arte, sia recente che del lontano passato, ha attribuito poi una più consistente ristrutturazione a Giorgio Massari, ma studi recenti e approfonditi hanno confutato questa affermazione, confermando, al massimo, una partecipazione poco più che marginale e limitata a qualche piccolo restauro del grande architetto vissuto a cavallo tra Sei e Settecento.
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Piccolo edificio cinquecentesco, con trifora al centro del piano nobile, sopraelevato di un piano in epoca più tarda. La famiglia Badoer, una delle più antiche, appare agli albori di Venezia col nome illustre di Partecipazio. A questa famiglia appartiene il primo doge della Civitas Venetiarum eletto allorché il governo fu spostato da Malamocco alla nuova sede di Rialto, e da quel 810 al 939, ben sette Partecipazio sedettero sul trono dogale, tanto da venir accusati di voler fondare una dinastia regnante.
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Al di là di un muro non troppo alto, sulla cui cornice fanno bella mostra due statuette di putto e due pietrificati vasi di fiori, superato il portale rettangolare con architrave lineare, che la stessa pavimentazione pubblica invita ad attraversare, ci si trova in un'ampia e curatissima corte nella quale sono visibili opere plastiche antiche e moderne. È il preludio ad un bellissimo atrio, che arriva fino alla parte opposta dell'edificio, per aprirsi sul Canal Grande, nel quale si sprecano materiali preziosi e altre statue. Il caseggiato si trova proprio a fianco dell'altro palazzo, ben più noto, dei Contarini Fasan e, seppur molto rimaneggiato, mostra tutto il fascino di un antico palazzetto gotico della metà del Quattrocento, che gli deriva da una facciata principale perfettamente simmetrica, organizzata attorno alle due quadrifore centrali
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Le “figure” che si possono ben vedere passando in vaporetto lungo il Canal Grande e dalle quali prende il nome questo palazzo, altri non sono che le due cariatidi raffiguranti mostri, collocate sotto il balcone principale. La sfrenata fantasia popolare ha voluto vedere nelle due figure il ritratto di un uomo che si strappa i capelli per aver perso tutto al gioco e quello della moglie furibonda, ma nulla, ovviamente, autorizza a pensare che sia realmente così.
La famiglia Contarini è sicuramente fra le più antiche e importanti di Venezia e nella sua storia millenaria si divise in ben diciotto rami.
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È uno dei più piccoli palazzi del Canal Grande, costruito attorno al 1475. È noto anche come “casa di Desdemona”. L’appellativo “Fasan” dato a questo ramo della famiglia Contarini sembra derivare dalla passione per la caccia al fagiano di uno dei suoi rappresentanti. Se pur molto rimaneggiato, mostra tutto il fascino di un antico palazzetto gotico della metà del Quattrocento, che gli deriva da una facciata principale perfettamente simmetrica, organizzata attorno alle due quadrifore centrali
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Grande famiglia, questa dei Corner. Insigni e controversi personaggi fecero parte di questa casata che annoverò, fra i suoi componenti, grandi rappresentanti del mondo finanziario e mercantile, come quel Federico Corner che, nella gestione delle sue piantagioni di canna da zucchero nel feudo cipriota di Piscopia, applicò, fra i primi in Europa, moderni criteri proto industriali, cosa del tutto inedita per quei tempi. Vi è inoltre la deliziosa figura di Caterina Corner, regina di Cipro, qui basti dire che la potenza politica ed economica di questa famiglia fu tale che i suoi membri furono sempre presenti in ruoli di primissimo piano nelle maggiori istituzioni veneziane.
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Autore di questo elegante edificio, affacciato sul Canal Grande, fu l’architetto Mauro Codussi che proprio in questa sua opera creò il modello dal quale in seguito abbozzò, in proporzioni più ampie, Palazzo Vendramin Calergi, ossia l’attuale sede del Casinò, sul Canal Grande. Molte, infatti, appaiono le analogie fra le due istruzioni, a partire dal particolare tipo di bifora arricchita da un oculo cieco e acchiusa da una costolatura a tutto sesto mossa, nel suo armonico movimento, dai piccoli e deliziosi capitelli corinzi delle semicolonnine laterali, appaiati con capitello della colonna a tutto tondo centrale.
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Si presenta oggi, dopo un recente restauro, estremamente vivace e colorato. È un edificio di impianto cinquecentesco, ma completamente ristrutturato nel secondo Ottocento, con un intervento che ha privilegiato l’aspetto cromatico e decorativo. L'asse centrale della facciata, che guarda sulla riva sinistra del Canal Grande, immediatamente prima del grandioso Palazzo Grimani, si sviluppa dalla riva d’acqua e lungo le trifore del primo e secondo piano e del mezzanino sottotetto, ai lati coppie di monofore; tra le varie finestre spiccano le decorazioni marmoree di tondi dai vivaci cromatismi che, assieme ai bianchi marcapiani e ad altre modanature, donano all’insieme un grande impatto visivo.
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Prospetta sul Canal Grande con una monumentale facciata secentesca. Due grandi portali con teste in chiave d’arco si alzano dall’acqua ben oltre la linea del mezzanino e fino al primo piano. I piani nobili sono due, segnati entrambi da trifore con balconcino, e coppie di monofore a sinistra e (doppie) a destra. Cornici in pietra d’Istria mettono in risalto la perfetta simmetria dei pieni e dei vuoti della facciata così da rendere il migliore omaggio allo sconosciuto progettista. Assolutamente pregevole è la bianca balaustra a delimitare una fantastica terrazza.
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Edificio seicentesco ristrutturato nel XVIII secolo. La facciata si apre al centro in trifore sovrapposte, affiancate da monofore: architravate al primo piano, ad arco riquadrato al secondo.
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Grande palazzo affacciato sul Canal Grande, costruito nei primi decenni del Cinquecento, quasi del tutto privo di riferimenti decorativi. L’impianto è molto tradizionale col solito piano terra, un primo mezzanino, un piano nobile e un secondo mezzanino al sottotetto. La facciata si segnala per il bugnato che si eleva fino al primo ammezzato, per l’ariosa quadrifora ad archi a tutto sesto con balcone e cornice del piano nobile, per le due coppie di monofore laterali con balconcini tra le quali sono visibili due grandiosi stemmi (copie moderne fatte inserire dagli ultimi proprietari). A sinistra si erge un altro corpo di fabbrica, più stretto, di ampliamento più tardo, unito al palazzo principale e con facciata analoga (quadrifora con balcone e cornice) a quella principale, che si differenzia per la presenza di due portali d’acqua e per il grande doccione con testa senile a livello del mezzanino sottotetto.
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